pagina a cura di A. Pereira
NOTA: Il testo qui presentato, è una
schematica narrazione degli eventi che hanno portato al naufragio e alla
morte di 9 viaggiatori, e venne inviato a Avventure nel Mondo, con preghiera di pubblicazione,
il 26/02/92. Benché la sua stesura sia costata - comprensibilmente - molta sofferenza,
voleva essere un contributo in favore dei
viaggiatori che in futuro si sarebbero recati nella zona, dando loro informazioni utili
affinché gli errori che portarono a quella tragedia (facilmente evitabile) non
venissero ripetuti. Nonostante la palese utilitá delle informazioni
e sebbene venga evitata qualsiasi analisi sulle gravi responsabilità
dell'accaduto,
- in spregio all'interesse degli stessi affiliati dell'associazione,
- in spregio alla memoria degli scomparsi di cui il racconto è una sorta di difesa,
- in spregio alla sofferenza che il rivivere tali momenti ha comportato,
la lettera veniva cestinata senza una parola che motivasse tale una scelta.
AVVERTENZA: nel rispetto degli scomparsi e del dolore dei congiunti, i passi contenenti alcune descrizioni particolarmente strazianti sono stati omessi.
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FILIPPINE SPECIAL - AGOSTO 1991 CRONACA DI UNA TRAGEDIA
Mi rendo conto, parlando in questi mesi
con tanta gente che ci ha espresso la sua solidarietà per la tragedia
che ci ha colpito, che quasi nessuno è veramente a conoscenza di
come sia stata veramente la dinamica dell'incidente che ci ha visti coinvolti,
e ora, nonostante ciò mi costi una fatica enorme e un dolore ancora
tanto forte da essere quasi fisico, sento l'esigenza di raccontarvi quello
che è effettivamente successo, sia perché le notizie all'epoca
riportate dai giornali sono assolutamente scorrette, sia per non indurre
i futuri viaggiatori nella zona a incorrere nei nostri stessi errori di
valutazione. Quindi cercherò di ricostruire i fatti come si sono
svolti.
Ci siamo imbarcati da Tay Tay verso le
16,20 del 26 di agosto 1991, il tempo era stato incredibilmente bello per
tutta la giornata, anche se, al momento dell'imbarco, il cielo era coperto
e cadeva qualche goccia. Ma la pioggia, comunque molto fine, non è
durata più di 15 - 20 minuti.
La barca era lunga circa 8,5 - 9 metri,
di legno, con bilancieri di bambù sporgenti circa 3 metri da ogni
lato. Era dotata di una stiva coperta (praticamente tutta la lunghezza
dell'imbarcazione) e munita di due panchine laterali appena messe (la vernice
era ancora fresca). I bagagli erano stati completamente stivati, eccetto
due zainetti, legati sul coperchio della stiva, e coperti con una cerata.
La parte centrale della barca era coperta da una tenda parasole, che fu
poi rimossa perché frenava l'avanzata. Dieci di noi si erano seduti
sulle panchine (cinque per lato, nel senso della lunghezza della barca),
due erano seduti dietro, vicino al motore, tre appena un po' avanti. I
due barcaioli erano in piedi accanto al motore.
La navigazione era iniziata lungo un fiume
piuttosto melmoso (circa 1 ora), per poi proseguire lungo un tratto di
mare chiuso, quasi una specie di fiordo con acque calme. Alla fine del
fiordo (circa 1 ora di navigazione) c'è il villaggio di Liminangcong,
dove ci eravamo fermati circa 1/4 d'ora per acquistare dei barattoli di
vernice che serviva ai barcaioli. Dopo Liminangcong abbiamo proseguito
ancora per un breve tratto protetto da isolotti e scogli, per poi sbucare
in mare aperto.
Il mare era calmo, anche se superato l'ultimo
isolotto cominciava a incresparsi, con onde di circa un metro. Quindi,
in sostanza, niente di preoccupante. Durante la traversata da Batangas
a P.to Galera, il mare era stato senza dubbio molto più agitato.
Ormai erano le 7 di sera, quindi piuttosto scuro, quasi buio, ma nel frattempo
il cielo si era parzialmente rasserenato e ogni tanto usciva una bella
luna piena. Tutti noi eravamo tranquilli, alcuni cantavano, si chiacchierava,
Gigi, Lorena ed io avevamo appena finito l'ennesima sigaretta. Tutti quanti
già si pregustava l'arrivo a Pangalusian, che ci avevano descritto
come un pezzo di paradiso, e ormai non mancava più di una mezz'ora
all'arrivo. Avevamo appena incrociato altre due barche di pescatori, e
un'altra ci aveva superato.
La nostra barca (in sostanza era un cargo)
aveva due luci sulla punta del pennone, una verde e una rossa, e luci simili
si vedevano sul mare. Ma non aveva nessun altro tipo di illuminazione.
Lasciato Liminangcong, i barcaioli avevano
fatto spostare due persone dalle panchine (uno per parte) e li avevano
fatti sedere vicino al motore. Io ero seduta sulla panchina, ed ero la
prima sul davanti, sul lato destro, quello verso terra. Stavamo infatti
costeggiando approssimativamente a 2 km. dalla riva. Le luci di Liminangcong
si facevano sempre più lontane, davanti a noi il profilo di un promontorio
senza luci o segni di vita.
A un certo punto, un'onda appena un po'
più alta o più forte delle altre aveva fatto oscillare l'imbarcazione,
facendo affondare completamente il bilanciere di destra e uscire dall'acqua
quello di sinistra. Dalla mia posizione avanzata avevo notato questa
oscillazione strana e mi ero allarmata, ma gli altri non ci avevano fatto
caso, e solo Alessandra, la solita polemica, aveva inveito contro i barcaioli
che a suo dire non sapevano guidare, e prendevano le onde sul fianco e
non, come mi hanno detto bisogna fare, tagliandole. Successivamente un'altra
onda ha prodotto la stessa oscillazione, sbilanciando i quattro che mi
erano seduti di fronte e catapultandoli in mare. La barca, completamente
inclinata sul lato destro, ha fatto scivolare in mare tutti gli occupanti
e il bilanciere di destra, inabissandosi, ha agito quasi da leva sollevando
il lato sinistro in verticale. Quando infatti sono riemersa il bilanciere
di sinistra era ancora completamente in verticale sul mare, per poi piombare
giù sfiorando le nostre teste, e capovolgendo completamente
la barca.
Dopo il primo attimo di smarrimento ci
siamo chiamati, contati, fortunatamente tutti abbiamo risposto all'appello,
chi aggrappato ai bilancieri, chi alla chiglia, chi alla mano dell'amico.
Il motore si era spento, le taniche di nafta e il serbatoio avevano rovesciato
tutto attorno il loro contenuto, eravamo viscidi e puzzolenti e chi aveva
bevuto vomitava acqua, nafta e bestemmie. Alcuni piangevano terrorizzati.
Piano piano tutti quanti siamo riusciti a salire sulla chiglia della barca
rovesciata, cavalcioni uno dietro l'altro, reggendoci con la forza delle
ginocchia, perché mancava l'appiglio per le mani. Io ero seduta
penultima vicino al motore, il più pesante e quindi semi sommerso.
L'acqua mi copriva fino all'inguine. Abbracciavo e massaggiavo la schiena
di Luigino, un po' per scaldare lui, un po' per scaldare me, senz'altro
per darci coraggio. Non volevo pensare all'eventualità che la barca
affondasse, o che la corrente ci portasse fuori. Mi venivano alla mente
le immagini di Fogar e del suo tragico naufragio, della morte del suo compagno,
e mi chiedevo dove saremmo andati a finire. Ero terrorizzata, stordita.
Qualcuno urlava istericamente, singhiozzi, conati di vomito, preghiere.
Gigi si muoveva aggrappato alla barca per venirci a dire qualcosa, parole
di incoraggiamento. Stavamo andando verso riva o verso il mare aperto?
Avevo perso gli occhiali e non riuscivo a valutare bene le distanze. Ma
le luci di Liminangcong mi sembravano sempre più piccole,
e la sagoma del promontorio sempre più grande. O era solo un'illusione,
una speranza? La luna ogni tanto usciva, il mare era calmo.
Angela, proprio lei che aveva il terrore
dell'acqua, con la sua bella voce toscana ci raccontava barzellette, e
diceva "pensate a quando la racconteremo a casa".
A un certo punto abbiamo sentito il rumore
di un motore, e visto due luci che si avvicinavano. Abbiamo cominciato
ad urlare con quanto fiato avevamo in gola, e con una torcia sub recuperata
da uno zainetto abbiamo fatto segnalazioni. Le luci si avvicinavano sempre
di più, oramai eravamo convinti che stessero puntando verso di noi.
Erano le 8, la nostra avventura era durata solo un'ora. Purtroppo, invece,
la barca ci è arrivata a circa 20 metri, per poi virare e puntare
verso il mare aperto. E la nostra angoscia è ricominciata più
forte di prima.
Ma la corrente continuava a spingerci verso
la costa, dove, per circa 5 minuti, abbiamo visto brillare una luce nel
buio. Eravamo ancora piuttosto lontani dalla costa, ma uno dei barcaioli
voleva andare a nuoto a cercare soccorsi. Ritenendolo troppo rischioso
glielo abbiamo impedito. Verso le 10, quindi dopo tre ore alla deriva,
la corrente ci aveva spinto molto vicino alla costa, a circa 20 - 30 metri
da una scogliera frastagliata e molto alta, forse 100 metri a picco sul
mare, e riuscivamo a intravedere gli scogli affioranti e la schiuma delle
onde che si infrangevano sui massi.
Il pennone cominciava a grattare sul fondo,
ma non ci avvicinavamo mai. Ho realizzato dopo ore che i barcaioli avevano
gettato l'ancora. Forse perché la corrente non ci riportasse fuori,
più probabilmente per paura di perdere la barca che sicuramente
nell'impatto con le rocce si sarebbe rovinata. A questo punto il più
anziano dei barcaioli ha raggiunto la riva a nuoto, aggrappandosi all'unica
tanica che eravamo riusciti a salvare, e portandosi via la pila sub. Ci
ha fatto un segnale quando è arrivato, poi abbiamo visto la luce
scomparire tra la vegetazione.
Noi eravamo abbastanza tranquilli, stavamo
ancora cavalcioni della chiglia, il mare era calmo, la riva era vicina,
mi si era asciugata un po' la maglietta e non avevo più tanto freddo.
Si trattava solo di aspettare un po', magari un paio d'ore, giusto il tempo
per il barcaiolo di raggiungere il villaggio e tornare con i soccorsi.
Noi nuotatori più esperti avremmo
potuto raggiungere la riva a nuoto, ma non potevamo lasciare chi non sapeva
nuotare, anche se erano relativamente al sicuro a sedere sul relitto. Io
poi, anche se so nuotare molto bene e non ho particolare paura dell'acqua,
ero un po' intimorita dal buio e dal fatto che, avendo perso gli occhiali,
non riuscivo bene a vedere quale fosse l'approdo migliore visto che gli
scogli sembravano molto frastagliati. La nostra presenza rassicurava i
non nuotatori, il mare era calmo ma non c'era più la luna.
A poco a poco, quasi impercettibilmente,
le onde hanno iniziato a gonfiarsi, non si riusciva più tanto bene
a stare cavalcioni della chiglia. Poi, una ogni tanto ci travolgeva gettandoci in mare,
e allora i nuotatori andavano a recuperare quelli in difficoltà,
che fortunatamente riuscivano ad aggrapparsi al bilanciere. Ad un certo
punto anche il secondo barcaiolo (poco più di un ragazzino) si è
allontanato a nuoto. Prima di andarsene mi ha detto che da lì saremmo
usciti solo a nuoto, ma tanti non sapevano nuotare.
Era quasi mezzanotte, e la loro agonia
era cominciata.
Pietro, come sempre "il grande", con molta
lucidità si era reso conto che la situazione stava precipitando
e con grande determinazione e razionalità ha iniziato a metterci
in fila, uno di qua e uno di là per il lungo del relitto, ognuno
doveva tenere il braccio del compagno sulla sinistra e quello
di fronte, le mani intrecciate a morsa, mai mollare la presa, una catena
umana che avrebbe evitato che le onde ci portassero via. Giorgio e Flavio,
i più robusti, in cima alla prua, e gli altri via di seguito, tutti
intrecciati, abbracciati, solo la forza unita di tutti quanti poteva tenerci
aggrappati al relitto in attesa dei soccorsi. Il tempo passava, il mare
cresceva ed era evidente che i soccorsi non sarebbero arrivati prima dell'alba.
Ormai le onde erano giganti, una su tre
ci sommergeva completamente, qualche volta la catena si spezzava e allora
via, a recuperare la mano tesa dell'amico, a stringerci forte l'uno
all'altro.
Ricordo le voci di Giorgio e Pietro che
ci gridavano le dimensioni delle onde. "Grande", "gigante" e noi sapevamo
che dovevamo usare tutte le nostre forze per non mollare la presa.
Ricordo
Massimo, con poca dimestichezza dell'acqua ma tanta generosità,
che da solo si occupava di due ragazze in difficoltà.
Ricordo Lorena,
che mi abbracciava e si puliva il naso sul mio braccio per non staccare
le mani, e poi mi chiedeva scusa.
E Alessandra, sempre così vitale
da avere ancora la forza di inveire contro tutto e tutti.
Angela, che pur
nel suo terrore cercava di farci coraggio.
Teresa, sempre così
determinata anche nei momenti più critici.
E ancora Antonio con gli
occhi sbarrati che chiedevano cosa fare, e Giovanna che pregava per
tutti noi e per i suoi figli.
E io, che tenevo la faccia appoggiata sul
legno della barca e non avevo il coraggio di guardare Emanuela, l'amica
che avevo convinto a partire per questo viaggio. Le ore passavano, il mare era ormai il
mostro da combattere, tutta la notte è stato un susseguirsi di temporali,
tuoni, lampi, pioggia torrenziale, il fragore delle ondate. Non ragionavo più, mi chiedevo
chi stesse facendo le foto col flash in quella situazione.
Finalmente le sei, la luce. E l'attesa dei soccorsi si era fatta frenetica, arriveranno,
arriveranno.
Non sono mai arrivati.
Alle sette un'onda enorme si è abbattuta
su di noi. Ha disancorato la barca, ci ha strappato via tutti senza la
possibilità di ricomporre la catena. Mi sono trovata sott'acqua,
sola, e ho cominciato a nuotare. Un'onda mi ha sbattuto sugli scogli,
il risucchio mi ha tirata indietro, e poi ancora avanti. Al quarto tentativo
sono riuscita ad aggrapparmi saldamente, non so come, con la forza della
disperazione, sono uscita dall'acqua.
Giuseppe era già fuori e urlava
disperato. Dentro a un'onda è arrivato un corpo, era Emanuela miracolosamente
illesa. Mi sono girata verso il mare, alcuni corpi ormai senza vita galleggiavano
tra i rottami della barca e i nostri bagagli. Dietro a uno scoglio Luigino
e Pietro feriti e con gli occhi spiritati, ma salvi. E poi Flavio,
l'ultimo, che arrancava verso la salvezza. Ci siamo contati, solo sei,
su quindici. La tragedia si era consumata. Il nostro calvario, e quello
delle famiglie degli amici scomparsi, era iniziato. Quante domande in questi
mesi, quante angosce, quanta rabbia e frustrazione, quanto dolore.
Ho voluto raccontarvi tutto questo perché
sono state dette tante cose sbagliare sull'incidente: che la barca si è
rotta, che siamo partiti durante una tempesta, che siamo stati investiti
da un tifone, addirittura che avevamo bevuto ed eravamo tutti ubriachi.
No, eravamo lucidi e contenti, la barca era solida, il mare era calmo e
il tempo era bello. Sicuramente la barca era stivata male, i pesi non erano
ben distribuiti, i barcaioli hanno sottovalutato il mare e forse non erano
marinai esperti ma volevano iniziare il business con i turisti. Probabilmente
eravamo sovraccarichi.
Ma nessuno ci aveva messo in guardia sulle insidie
di questo mare, sul fatto che bisogna sempre viaggiare su due barche,
e soprattutto MAI VIAGGIARE COL BUIO. Durante il giorno la zona è
frequentata e ci avrebbero visto e salvato. Se avessimo avuto salvagenti
e razzi non avremmo perso nove amici.
Giovanna, Giorgio, Teresa, Alessandra,
Gigi, Antonio, Angela, Massimo, Lorena. Cinque di loro sono ancora là,
i corpi non sono mai stati recuperati. Ma sono e saranno sempre dentro
di noi, senza la loro forza e la loro generosità nemmeno noi saremmo
qui ora.
Perché ritornare su questo a sei
mesi dall'incidente? Perché impormi di rivivere questo incubo momento
per momento? Perché piangere, e vomitare mentre scrivo questo, e
rischiare la mia salute mentale per ripercorrere questa tragedia? Perché ho appena saputo che il
gruppo partito a Natale ha viaggiato su una sola barca, si è imbarcato
a Tay Tay alle 16,30, forse ancora senza salvagenti e razzi, ma il mare
era calmo e il tempo era bello.
Non ho più parole.
Simonetta Po - febbraio 1992
ALLA MEMORIA DI:
Giorgio Cabodi, Giovanna Rattazzo Cabodi, Luigi Andrusiani, Angela Marcesini, Alessandra Bonechi,
Teresa Cane, Lorena Volpato, Antonio Macchi, Massimo "Lothar" Nai
con noi e dentro di noi per sempre.
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