Non insisteremo a dilungarci, come già abbiamo fatto tante,
forse troppe volte dal lontano 1994, sui giorni che hanno preceduto il
tragico incidente che ha visto morire dilaniata da una mina anticarro la
nostra amica finlandese Katy Ylitalo, perché preferiamo approfondire
alcuni dettagli.
- Oltre a 15 motociclisti, al viaggio hanno
partecipato auto fuoristrada, camion e passeggeri senza mezzi propri.
- A Djanet (Algeria) ci ha raggiunto con l'aereo un altro gruppo di
otto persone (passeggeri), che avrebbero viaggiato su auto messe a disposizione
del corrispondente algerino di A.n.M. che ci accompagnava fino al Tibesti
(presentato come il sogno di ogni sahariano dalla circolare dell'agenzia).
Il numero totale dei partecipanti era di circa 40 persone. Non male per
un tipo di percorso in cui si esortavano le persone che non erano in possesso
del cosidetto "spirito di gruppo" a ripensare alla loro scelta, visto che
si trattava di una prima!!!
- Sempre a Djanet ci ha raggiunto anche la guida nigerina Soliman per
accompagnarci nel tratto in Niger.
- A Seguedine (Niger) il capogruppo e le due guide scelgono una guida
tebu (un'etnia nera che popola il Tibesti), per accompagnarci in Ciad.
Il tebu non parlava né francese né arabo ed era quindi impossibile
per i partecipante dialogare direttamente con lui.
Una cronaca è sempre difficile da rendere chiara a chi non c'era
o a chi non conosce il deserto, per questo tralasceremo come già
detto i giorni successivi alla partenza costellati dai normali imprevisti
come guasti ai mezzi, incidenti dei motociclisti, visti per l'Algeria con
date contraffatte, lungaggini burocratiche come alla frontiera del Niger
il cui permesso di entrata non era ancora arrivato, ecc. Per una chiara
comprensione dell'accaduto, è però importante sottolineare
un fatto di quei giorni che precedono il tragico primo gennaio del 1994:
il capogruppo D. Cecchet sin dal primo giorno era solito raggruppare tutti
i componenti ogni 20 km. E i raggruppamenti avevano questa disposizione:
in testa al gruppo le guide con i loro mezzi e i passeggeri, quindi le
moto, e a seguire i fuoristrada privati. Chiudeva la carovana il camion
dell'assistenza. Tutto questo è successo dal giorno successivo alla
partenza fino all'1-1-1994, quello dell'incidente. È proprio a questo
punto che non possiamo fare a meno di segnalare, a costo di appesantire
questa cronaca che ripercorriamo ancora con grande amarezza, alcune anomale
circostanze.
La mattina del 1° gennaio ci alziamo sferzati da un forte vento
di sabbia. Smontiamo il campo e ripartiamo in convoglio sulla pista Seguedine-Zouar
(Ciad), ben segnalata da pali di ferro ogni 300 metri (per i chi è
pratico di raid: le ben conosciute balise). Nella tarda mattinata la macchina
di Soliman che ci precedeva con tre passeggeri a bordo si ferma per scattare
foto: ci fermiamo anche noi. L'Iveco condotto da Sergio Cicala, che dopo
poche ore salterà sulla mina, era dietro di noi e veniva invitato
dalla guida a proseguire. Il nostro mezzo, un Range Rover, a questo punto
non riparte più a causa di un guasto riparato dopo circa mezz'ora
dal meccanico dell'assistenza che chiudeva il convoglio. Riparato il guasto
ripartiamo, ma per 40 km non incontriamo nessuno. Siamo perplessi. Dove
sono oggi i raggruppamenti ogni 20 km?
Finalmente incontriamo Cecchet, il capogruppo, al quale chiediamo spiegazioni
su questa "novità" dei mancati raggruppamenti che ci porta ad essere
molto lontani dalle guide e dal resto dei partecipanti. Richiesta di spiegazioni
che si tramuta in una vivace discussione quando Cecchet ci risponde di
andare avanti tranquillamente perché non c'è alcun problema,
la guida algerina Khirani ha tutti i passaporti e le carte di circolazione
e ci raggruppiamo a Zouar. Ma Zouar è in Ciad e mancano ancora 150
km! Un modo molto "stravagante" di procedere nel deserto. Francamente,
la discussione si fa più accesa ed in breve è un vero diverbio.
Risultato: proseguiamo, siamo perplessi come prima, ma in più adesso
siamo anche incazzati.
Dopo pochi km, incontriamo i motociclisti e ci fermiamo per uno spuntino.
Naturalmente il più idoneo per il deserto secondo la dietetica di
V.n.M: salume, maionese a gogo e cracker (che sono l'ideale perché
dopo 10 giorni di scossoni sulle auto sono premasticati). Poco dopo incontriamo
Sergio e la guida algerina con il gruppo di partecipanti a piedi. Ci fermiamo
e con il nostro nuovo amico di viaggio commentiamo il modo anomalo di procedere
di quel giorno.
Il susseguirsi degli avvenimenti da questo momento in poi è alquanto
particolare ed ancora più sorprendente: Khirani invita i 15 motociclisti
ad andare avanti facendo così da apripista e ordina anche noi di
metterci in marcia con i nostri due veicoli Iveco e Range Rover, affermando
che l'ordine del capogruppo era di raggrupparci a 100 km da Zouar. Di Cecchet
però neanche l'ombra, e le altre guide così come i mezzi
sono dietro. La pista è ben segnalata ma è evidente che non
è trafficata da tempo, molto tempo.
A circa 17 km dal confine tra Niger e Ciad la pista diventa un passaggio
obbligato, leggermente in salita, tra due colli rocciosi. È qui
che Katy perderà la vita, a soli 25 anni, dopo un'agonia di alcune
ore.
LA SEQUENZA DELL'INCIDENTE.
- I 15 motociclisti sono davanti a noi in testa al gruppo, affrontano il passaggio e passano illesi;
- passiamo noi con il Range Rover carico di ben 300 litri di benzina
necessari per il percorso (se saltavamo noi era una strage);
- Sergio e Katy sono dietro di noi di 7-10 metri. L'esplosione; l'onda
d'urto ci colpisce violentemente e ci lascerà intontiti per qualche minuto;
- ci rendiamo conto che uno scoppio così forte non può
essere quello di un pneumatico ma non comprendiamo immediatamente cos'è
successo;
- scendiamo dall'auto; l'Iveco di Sergio è sventrato
- Katy è distesa a terra, sbalzata fuori dal mezzo dallo scoppio;
ci sono vetri lamiere e pezzi di camper ovunque.
I motociclisti sono più in alto e guardano pietrificati la scena.
Sergio esce barcollando e ferito in evidente stato confusionale dal mezzo
distrutto che comincia a prendere fuoco. Scopriremo, disperati, che tutta
la zona è disseminata di grosse mine anticarro. Sono semi nascoste
da sabbia o rocce, ma facilmente individuabili. Deduzione logica: l'incidente
è avvenuto a 104 km da Zouar; inoltre la pista seguita era quella
indicata da V.n.M nel suo programma.
Ancora oggi, lo sconforto per l'impotenza di fronte a Katy gravemente
ferita ma cosciente, la disperazione nel vederla inesorabilmente spegnersi
a poco a poco, la rabbia verso le guide che si sono tenute "inspiegabilmente"
in coda al gruppo, l'amarezza per il loro ostinato rifiuto di raggiungere
immediatamente Zouar per soccorrere Katy, sono dei sentimenti ancora intensi
e dolorosi. Insieme a ciò è ancora viva la paura per le nostre
stesse vite. Nel riprendere, tornando indietro, un'altra pista, questa
volta le guide ci precedono.
A questo punto sono tante le domande che vengono spontanee: che cosa
aveva predisposto e preorganizzato la V.n.M? Come considerare alla luce
di questa tragedia la propaganda pubblicitaria con cui il giornalino presentava
il raid? Cosa sapeva il nostro capogruppo?
Neppure la nostra denuncia ha saputo dare una risposta. Ma questa è
un'altra storia.
E. Manfredini - L. Montorsi
Fax inviato da V.n.M. al Giornale di Sicilia
Resta infine da notare una particolarità dei viaggi-raid per motociclisti e fuoristradisti
4x4: il partecipante è alla guida del proprio veicolo di cui è totalmente responsabile
non accollandosi l'agenzia organizzatrice alcun onere relativo al veicolo stesso salva l'assistenza
meccanica nei limiti della attrezzatura del camion officina. Il partecipante è pertanto
responsabile delle condizioni meccaniche, dell'adeguatezza del mezzo nonché delle sue
capacità personali e della esperienza a guidare il proprio veicolo.
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Quindi: che colpa può avere l'agenzia che ha studiato il percorso se al partecipante viene la stravagante idea di usare un veicolo che non resiste allo scoppio di una mina?